Archives for December, 2007

Vicenza..

  • December 21, 2007 1:17 pm

Postiamo un comunicato dei compagni di Rovereto su Vicenza..

 

 

L’obiettivo della lotta di Vicenza è senza dubbio uno dei più
importanti che ci siano in questo momento. Impedire la costruzione
della più grande base militare USA in Europa avrebbe un’enorme ricaduta
sull’antimilitarismo in Italia e non solo.
Per questo pensiamo che la battaglia No Dal Molin non debba essere
lasciata al riformismo e ai giochi politici. Spostare – come sta
avvenendo – la lotta dalla strada ai tavoli istituzionali con la
richiesta di una moratoria ci sembra inaccettabile. Primo, perché in
tal modo non si fermerà nessuna base; secondo, perché legittimando
ancora come interlocutori i parlamentari della “sinistra critica” si
aprono loro le porte del recupero istituzionale. Dopo aver votato tutte
le operazioni militari, dopo aver detto “Sì” a tutte le nocività (TAV,
rigassificatori, inceneritori, ecc.), dopo aver accettato quell’insieme
di leggi razziali che chiamano “pacchetto sicurezza”, ora costoro
promettono, pur di non sparire, la sospensione dei lavori al Dal Molin.
Invece di allontanarli dalla lotta, è a loro che ci si rivolge. A
febbraio, infatti, c’era stato l’appello a non portare al corteo le
bandiere di partito. Ora no. Se chiedi qualcosa, non sei certo nella
posizione di rivendicare un’intransigente autonomia.
Il corteo del 15 dicembre è stato indicativo. Un giretto in centro e
tutti a casa. Eppure l’invito suonava chiaro: “Se non ora, quando?”.
Per noi quel motto esprime l’urgenza etica di chi, di fronte alla
guerra e alle sue basi, non accetta né compromessi né rinvii. Se invece
si tratta di fare una nuova passeggiata, di mostrare i numeri per farli
pesare sulla bilancia della politica parlamentare, allora va bene
anche… domani o dopodomani. Quando il capo dello Stato dichiara che si
possono organizzare tutte le manifestazioni del mondo, tanto la base si
farà, essere in quarantamila o in centomila non cambia la sostanza.
Inoltre, andando avanti così, in piazza ci si troverà sempre in meno
(sabato c’era un terzo delle persone che c’erano il 17 febbraio).
Per questo ci siamo trovati a Vicenza assieme a qualche centinaio di
compagni e a tanti insoddisfatti sparsi per dire veramente “Se non ora,
quando?”. In tanti abbiamo fatto l’unico tentativo che ci sembrava
giusto e sensato fare durante il corteo: provare ad andare verso
l’aeroporto Dal Molin per occuparlo in massa. Un tentativo difficile,
sia per questioni organizzative, sia per il contesto, ma che ha voluto
portare un contributo teorico e pratico di lotta. Si è proposto di
deviare la manifestazione distribuendo migliaia di volantini. Alcune
centinaia di persone erano favorevoli. Gli ostacoli non sono certo
mancati. Chi si era preso l’impegno di fare un appello dal furgone alla
fine, su pressioni politiche, si è tirato indietro. La posizione nel
corteo ci ha tagliati fuori da tanti manifestanti. Inutile sottolineare
il ruolo dei Disobbedienti: fin dal concentramento, un loro esponente
di spicco minacciava un compagno di sprangare chiunque avesse anche
solo volantinato una proposta di deviazione del corteo; hanno poi
schierato un servizio d’ordine al fatidico bivio, urlando che chi
deviava era un nemico della lotta No Dal Molin.
Dal canto nostro, avevamo concordato che se non ci fosse stata una
significativa partecipazione vicentina, non avremmo proseguito da soli.
Così è stato.
Siamo convinti che quel tentativo (sui cui limiti pratici – e non solo
– occorrerà riflettere collettivamente) andasse fatto. E diverse
persone, anche di Vicenza, ce lo hanno confermato in questi giorni.
Che abbia dato fastidio è testimoniato dal silenzio con cui è stato
nascosto. Ufficialmente, nessuno al corteo di sabato ha cercato di
andare verso l’aeroporto…
La percezione che non si possa continuare con cortei pacificati o con
pratiche concordate con la polizia è diffusa. Per il momento,
evidentemente, ci sono parecchie debolezze. Ma i nodi arriveranno al
pettine quando dovranno cominciare davvero i lavori della base. Lì si
vedrà chi vuole battersi veramente e chi al conflitto reale preferisce
la sua rappresentazione mediatica e politica.
Un’ultima precisazione. Non siamo contrari per principio alle
manifestazione tranquille. Ne abbiamo organizzate anche noi. Ciò che
non accettiamo è che si svendano le lotte insabbiandole sul terreno
della politica istituzionale. Anche in Val Susa ci sono stati tanti
cortei tranquilli e nessuno ha mai forzato la mano perché si percepiva
che era una lotta reale di cui era importante rispettare i vari
passaggi. Ma quarantamila persone non possono essere trasformate in
soldatini da attirare con slogan di lotta e farli poi sfilare per una
moratoria…
Il No alla guerra e alle sue basi è un No assoluto. Occorre esserne all’altezza.

P.S. Questo è solo un nostro contributo. Ci sembra molto importante
che gli altri compagni che si sono trovati d’accordo con quella parte
di corteo si esprimano al riguardo.

Il Massacro continua

  • December 21, 2007 12:53 pm
 
 

Incidenti sul lavoro: morti due muratori sardi e un agricoltore veneto 

Da RaiNews24 


 

Sono morti schiacciati da una lastra di cemento due giovani muratori sardi che
stavano lavorando in un cantiere alla periferia di Ajaccio, in Corsica. La
notizia, pubblicata dall’Unione Sarda, e’ giunta nella tarda serata di ieri a
Uras, paese dell’oristanese dove vivevano le due vittime. Christian Porcu e
Emmanuel Neri, entrambi di 24 anni, dovevano rientrare proprio oggi per
trascorrere il Natale a casa. Secondo una prima ricostruzione giunta ai
familiari, stavano lavorando insieme con altri operai in un capannone in
costruzione, I due erano al pian terreno quando sono stati travolti da una
pesante lastra di cemento armato. Sono rimasti feriti anche due operai francesi,
ricoverati in gravi condizioni nell’ospedale Misericordia di Ajaccio.

Un
agricoltore sessantenne, Lino Zanette, di Sacile (Pordenone), e’ stato trovato
morto all’interno del deposito di fieno della sua azienda, a San Michele al
Tagliamento (Venezia). L’uomo e’ stato trovato con con la testa incastrastra fra
alcune pesanti balle di fieno. Potrebbe esservi caduto dentro dall’alto, mentre
dal magazzino caricava il fieno su un rimorchio, rimanendo soffocato. A trovare
il cadavere sono stati stamane i familiari di Zanette, che lo avevano cercato
dovunque dopo il mancato rientro a casa ieri sera. Sulla dinamica dell’incidente
stanno indagando i carabinieri di Portogruaro (Venezia).

Incidenti sul lavoro, morti altri 5 operai

  • December 21, 2007 12:45 pm

 


Incidenti sul lavoro, morti altri 5 operai
Uno schiacciato da carrelli nell’Alessandrino, un altro da travi a Venezia, il terzo da un tubo a Roma, poi a Vignola e Melfi

Il lavoro continua a uccidere in Italia. Dopo la strage nell’acciaieria della ThyssenKrupp (oggi nuovo corteo di protesta alla vigilia dei funerali della quinta vittima del rogo), altri cinque operai sono morti oggi nel giro di poche ore. Uno schiacciato tra due carrelli in una fornace dell’Alessandrino, un altro travolto dalla caduta di travi di legno all’Arsenale veneziano. La terza vittima è un giovane di 22 anni colpito da un tubo a Cecchina (Roma). Il quarto operaio nello stabilimento Fiat di Melfi, il quinto a Vignola, in provincia di Modena: è un carpentiere che stava costruendo un solaio.

NELL’ALESSANDRINO – Il primo incidente mortale è avvenuto in una fornace di Valenza, in provincia di Alessandria. La vittima è un operaio di 53 anni, Franco Raselli, che abitava nella stessa città. L’uomo è rimasto schiacciato tra due carrelli di trasporto del materiale. La linea di produzione della fornace, la San Marco Terreal Italia, è stata sequestrata dal procuratore di Alessandria Michele Di Lecce. Nella fornace stanno indagando i carabinieri e i Servizi di prevenzione ambienti di lavoro (Spresal) dell’Asl.

L’ingresso al cantiere delle Fonderie dell’Arsenale, dove è morto l’operaio edile Maurizio Michielon (Ansa)
A VENEZIA- Altra vittima all’Arsenale di Venezia. Un operaio di 55 anni, Maurizio Michielon, di Jesolo, è stato travolto da alcune travi in legno che erano state accatastate in vista della messa in opera, ed è morto all’istante. L’operaio era dipendente della Iccem (società veneziana di costruzioni) chiamata al recupero e restauro di una serie di capannoni della parte civile dell’Arsenale, concessi al consorzio di ricerca e servizi Thetis.

VICINO ROMA – Non c’è stato nulla da fare anche per un operaio di 22 anni, morto nell’ ospedale di Albano Laziale a causa delle gravi ferite subite in seguito a un incidente sul lavoro, avvenuto a Cecchina, vicino a Roma. L’operaio era dipendente di una ditta in appalto, incaricata della realizzazione di un impianto fognario. Per cause da accertare, durante le fasi di scarico di grossi tubi, uno di questi ha colpito il giovane, ferendolo gravemente. Trasportato in ospedale, l’operaio è morto poco dopo il ricovero. Sull’incidente indagano i carabinieri della compagnia di Castel Gandolfo e gli ispettori del lavoro.

A MELFI – Altra vittima nello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat dove un operaio è morto per le ferite e le lesioni subite in un incidente. L’operaio è dipendente di una ditta esterna, con sede in Campania: stava pulendo un macchinario dai residui della produzione, nel reparto stampaggio, quando è stato investito o è rimasto schiacciato nella stessa apparecchiatura. L’operaio è stato soccorso e trasportato in ospedale, ma è morto poco dopo il ricovero.

A VIGNOLA – Infine un carpentiere di 37 anni, originario di Brescia, è morto nel primo pomeriggio mentre lavorava alla costruzione di un solaio del nuovo centro polifunzionale in costruzione di Vignola, nel modenese, sito in via Di Mezzo. L’uomo, mentre stava posizionando delle asse o delle putrelle con l’ausilio di una gru, si è accorto che una di queste era messa male: si è quindi spostato per rimuoverla, sganciandosi anche dalla sua posizione di sicurezza: in seguito alla caduta dell’asse, avrebbe perso l’equilibrio, schiantandosi a terra da una altezza di cinque metri. L’operaio è morto sul colpo.

FUNERALI QUINTA VITTIMA – I cinque incidenti mortali hanno segnato la vigilia dei funerali di Rocco Marzo, il quinto operaio morto nel rogo dell’acciaieria ThyssenKrupp. Saranno celebrati mercoledì mattina alle 11 dal cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino, nella parrochia di San Giovanni Maria Vianney nella zona di Mirafiori sud. «Era un papà di famiglia, un uomo generoso che è morto per cercare di salvare i suoi colleghi», ha detto oggi il cardinale nel consueto incontro di Natale con i giornalisti torinesi. «Quella della Thyssenkrupp – ha aggiunto – è stata una terribile sciagura, ma la tristezza nata da questa disgrazia e da altre analoghe non deve creare un clima di paura, l’impressione che tutto stia andando male».

18 dicembre 2007(ultima modifica: 19 dicembre 2007)

Assolombarda sotto assedio, botte tra operai e poliziotti

  • December 21, 2007 12:44 pm


Assolombarda sotto assedio
botte tra operai e poliziotti


(19 dicembre 2007)

Dall’Espresso

Sandro De Riccardis
Oriana Liso

I manifestanti: ci hanno picchiato. Il caso in Parlamento


Un quarto d´ora di tensione tra metalmeccanici e polizia davanti alla
sede di Assolombarda, dove alle 11 di ieri si sta concludendo la
manifestazione di Fim, Fiom e Uilm contro «il ruolo di retroguardia
degli imprenditori cittadini» nella trattativa per il rinnovo del
contratto. Da una parte i lavoratori che travolgono le transenne
sistemate a protezione della sede di via Pantano, e che si avvicinano
al palazzo; dall´altra gli agenti in assetto antisommossa che fanno
muro contro gli operai. Parte un fitto lancio di uova e bulloni,
metalmeccanici e poliziotti vengono a contatto, gli agenti – decisi a
non far avanzare il corteo verso il palazzo – agitano gli sfollagente e
colpiscono qualche manifestante che fa da ariete. Uno di questi, ferito
al volto, è Massimiliano Murgo, 31 anni, gruista alla Brollo di viale
Sarca (gruppo Marcegaglia), indagato – e per questo espulso dalla Fiom
– poi prosciolto nell´inchiesta del pm Ilda Boccassini sulle cosiddette
"nuove Br".
Alla
fine il bilancio è di un paio di contusi lievi tra i manifestanti,
alcuni con ferite al naso, ma anche di un paio di agenti che devono far
ricorso alle cure mediche. «Siamo stati colpiti dalle manganellate –
lamenta uno dei partecipanti al corteo – alcuni di noi si sono fatti
medicare in ambulanza». «Ci siamo trovati di fronte a una via Pantano
completamente chiusa – ricostruisce Luigi Deddei, della Fim –
prevedevamo che non ci avrebbero fatto arrivare davanti alle vetrate di
Assolombarda, ma non che avremmo trovato le transenne. Questo ha
scaldato gli animi. Altra cosa inusuale è stata un po´ troppa violenza
da parte delle forze dell´ordine. I manifestanti erano a mani nude, gli
agenti avevano i manganelli». Una ricostruzione condivisa anche da Fiom
e Uilm che esprimono «condanna» per il comportamento delle forze
dell´ordine. «Contrasteremo in ogni modo – assicurano i sindacati – il
tentativo di segnare questo rinnovo con problemi di ordine pubblico».
Diversa
la versione dei fatti della polizia: «Un gruppo di manifestanti è
arrivato con intenzioni bellicose. Hanno iniziato a tirare uova, per
poi superare le transenne e cercare il contatto fisico. Una transenna è
stata spaccata e lanciata contro una macchina in sosta in via Pantano,
mandando in frantumi il lunotto».
Il quarto d´ora di scontri finisce
in Parlamento con il capogruppo di Rifondazione Comunista al Senato,
Giovanni Russo Spena, che annuncia un´interrogazione al ministro
dell´Interno, Giuliano Amato. «I comportamenti delle forze dell´ordine
– chiede il senatore – siano improntati alla massima prudenza e
democrazia di fronte ai lavoratori in lotta per il loro contratto,
negato dal ruolo particolarmente arrogante degli imprenditori. Non
vorrei che l´emozione per gli omicidi degli operai di Torino fosse
durata lo spazio di un mattino. La democrazia arretra quando i
metalmeccanici vengono colpiti dalle manganellate della polizia», dice
Russo Spena.
Al di là degli scontri, i sindacati sottolineano che lo
sciopero ha registrato «una forte adesione nelle aziende
metalmeccaniche, con migliaia di lavoratori che hanno dato vita a un
corteo, vivace e combattivo». Ora chiedono che l´attenzione torni alla
vertenza. Tra i nodi da sciogliere «i tempi e le modalità di
stabilizzazione dei contratti a tempo determinato e interinale, la
percentuale di lavoratori atipici all´interno della stessa azienda». E
poi i salari, con l´offerta di aumento di cento euro da parte delle
aziende, giudicata insufficiente: Fim, Fiom e Uil chiedono 117 euro di
aumento salariale sui minimi tabellari senza alcun aumento dell´orario
di lavoro.

ThyssenKrupp.. Morire di lavoro

  • December 21, 2007 12:40 pm

 

TYSSENKRUPP MORTA LA SESTA VITTIMA


dal manifesto


ThyssenKrupp Morto Rosario, la sesta vittima. Funerali per Rocco, il capo-turno.
Un operaio strappa il nastro sulla corona di fiori della multinazionale
e grida: «Avete le mani sporche di sangue». L’azienda si scusa con il
sindaco.


A lottare per la vita resta solo Giuseppe Demasi, 26 anni. Stessa
età di Rosario Rodinò, spirato ieri mattina all’ospedale Villa Scassi
di Genova, sesta vittima del rogo alla ThyssenKrupp di Torino. La
notizia della morte di Rodinò è arrivata a Torino poche ore prima del
funerale di Rocco Marzo, il capoturno deceduto domenica scorsa. La
piccola folla raccoltasi ieri nella chiesa di San Giovanni Maria
Vianney – quartiere Mirafiori – si ritroverà tra qualche giorno per un
altro funerale. Che il cardinale Severino Poletto sperava di non dover
celebrare. L’arcivesco, in gioventù prete operaio, ha ribadito quanto
aveva detto giovedì scorso in cattedrale di fronte alle prime quattro
bare. Il posto di lavoro è «sicuro» solo là dove vengono
scrupolosamente rispettate le norme di sicurezza. I dati e la cronaca –
il cardinale ha ricordato i cinque morti nella sola giornata di martedì
– dimostrano che questo rispetto manca. «Ormai le morti sul lavoro sono
un’emergenza nazionale. Occorre un sussulto di responsabilità del
Paese».
Un sussulto, in questo caso di rabbia, ha spinto Ciro Argentino a un
gesto pubblico di protesta. Ha strappato il nastro con la scritta
ThyssenKrupp sulla corona di fiori inviata dell’azienda. «Avete le mani
sporche di sangue», ha urlato il delegato della Fiom ai dirigenti della
multinazionale presenti al funerale di Rocco Marzo. Tra loro,
l’amministratore delegato Harald Espenhahn e Cosimo Cafueri,
responsabile sicurezza dell’acciaieria torinese. Quest’ultimo,
ascoltato l’altro ieri in Senato dalla Commissione d’inchiesta sugli
infortuni, ha sostenuto che alla ThyssenKrupp il sistema antincendio
«era ed è a posto». Giovanni Pignalosa, pure lui delegato Fiom, dice
che affermazioni di questo genere «offendono la verità ed esasperano
chi ha visto i compagni di lavoro trasformati in torce umane». Ciro
l’esasperazione e la rabbia «l’ha buttata fuori», altri «se la tengono
dentro». Pignolosa ha un consiglio da dare ai dirigenti locali della
Thyssen: «Tacciano. Più parlano, più si danno la zappa sui piedi». La
loro autodifesa cozza con un fatto incontrovertibile: «Dopo il 2005,
decisa la chiusura, l’acciaieria è stata lasciata andare a se stessa».
Manuenzioni al lumicino, formazione antinfortunistica zero. Pignalosa,
entrato alla ThyssenKrupp 12 anni fa, può fare confronti: «Prima non
era così, c’era più attenzione alla sicurezza. Poi è cambiato tutto».
Il suo racconto combacia con quello, disperato, di Giovanni Rodinò,
padre di Rosario. Lui in viale Regina Margherita ha lavorato ben 34
anni, «allora quella fabbrica funzionava come un orologio, adesso era
una bomba a orologeria». E’ stato lui a «convincere» il figlio ad
entrare alla ThyssenKrupp, a seguire «le orme paterne». Accasciato su
una sedia nell’ospedale di Genova dove Rosario è spirato dopo 13 giorni
d’agonia, il padre ripete «colpa mia, colpa mia». Pignalosa vuole
trasmettere un messagio a papà Giovanni: «Non hai nessuna colpa, hai
fatto quel che qualsiasi padre premuroso e assennato avrebbe fatto.
Lavorando nell’acciaieria eri riuscito a tirare su la famiglia. Pensavi
che la storia si sarebbe ripetuta per tuo figlio. La strage ha altri
colpevoli». Una strage «annunciata», dice Giovanni Rodinò, perché la
dismissione aveva fatto passare in cavalleria la sicurezza. Racconta
che Rosario, in pochi anni, aveva subìto due infortuni, il più grave
una scottatura al braccio. Non era contento d’essere stato spostato al
turno di notte. E di notte «me l’hanno ammazzato», prosegue in lacrime
il padre. Rosario non è morto uscendo da una discoteca, «è morto sul
lavoro». Adesso indagare sui dirigenti che non hanno rispettato le
norme «non serve proprio a niente». La faranno franca, teme Giovanni
Rodinò.
Anche dalla chiesa di Mirafiori, come era successo in Duomo, i
dirigenti sono usciti da una porta laterale. Nel pomeriggio una
delegazione della ThyssenKrupp Italia, guidata dal direttore generale
Ralph Labonte, è stata ricevuta da Sergio Chiamparino. Ha consegnato al
sindaco di Torino una lettera di scuse in cui il presidente della
multinazionale, Ekkehard Schultz, riconosce il ritardo dell’azienda nel
dare un «segno forte» di partecipazione al lutto che ha colpito le
famiglie delle vittime e la città. E’ l’atto di contrizione che il
sindaco pretendeva per ristabilire «normali relazioni» con la
ThyssenKrupp. I rappresentanti dell’azienda hanno ribadito l’impegno a
sostenere «ora e in futuro» i familiari della vittime. Hanno dato la
loro disponibilità a sedersi a un tavolo per affrontare il futuro dei
dipendenti dell’acciaieria torinesi. Sono meno di 200 e nessuno degli
operai è disposto a tornare a lavorare «là dentro». L’azienda parla di
«ricollocazione lavorativa». La formula lascia intendendere che non
mira a riaprire per pochi mesi un’acciaieria destinata comunque a
chiudere entro settembre. Sa che gli interventi per metterla in
sicurezza richiederebbero tempo e denaro. Il gioco non vale la candela.
Almeno su questo la pensa come i suoi dipendenti torinesi. Che però
vogliono garanzie sul loro futuro.
Dell’addio a Rocco Marzo, 54 anni, resta una frase, pronunciata da
tutti i giovani operai: «Per noi non era un capo, era un padre». Ce lo
dicono Pignalosa e il delegato della Uilm Vincenzo De Pasquale. Gaspare
Tre Re, in servizio sul carro ponte la notte dell’incendio, aggiunge
che «Rocco non era un capo come gli altri, ci trattava come figli, ci
diceva sempre di fare attenzione». A Tre Re resta negli occhi
un’immagine orribile: «Quella di Giuseppe, avvolto dalla fiamme, che mi
urla di gettargli dell’acqua in faccia perché gli bruciava. Ho preso la
manichetta ma l’acqua usciva da un foro che c’era nel tubo». Giuseppe
Demasi, ricoverato al Cto di Torino, oggi subirà un terzo intervento
chirurgico. Le sue condizioni restano gravissime, ha ustioni sul 95%
del corpo.